Intelligenza artificiale generativa: a chi appartengono le immagini?

Set 28, 2022 | Intelligenza Artificiale

L’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante e software come DALL-E e Imagen ne sono la dimostrazione: si tratta di applicativi in grado di generare immagini realistiche e “opere d’arte” (così sono definiti dai creatori) partendo da un’immagine testuale, modificando immagini esistenti, aggiungendo o rimuovendo elementi oppure ancora creando variazioni di un’opera d’arte partendo da quella originale.

Pochi giorni fa, in risposta alla diffusione di questi software, il CEO di Getty Images Craig Peters ha annunciato che sarà vietato il caricamento e la vendita di immagini generate attraverso questi software di apprendimento automatico. Il motivo di questa decisione, ha spiegato Peters, è la volontà di proteggere i propri clienti dal momento che sono emersi diversi dubbi legali rispetto alla volontà intellettuale delle immagini prodotte da questi programmi. Queste intelligenze artificiali, infatti, per poter rispondere alle richieste degli utenti, sono allenate su database contenenti milioni di immagini raccolte sul web, tra cui creazioni di artisti e fotografi indipendenti che, tuttavia non hanno dato il proprio consenso.

Getty Images non è l’unica piattaforma ad aver preso una posizione. Nelle scorse settimane, infatti, anche il sito Fur Affinity, dedicato alla produzione furry – cioè di animali antropomorfi – di arte e fumetti, ha a sua volta bandito le immagini create da questi sistemi di intelligenza artificiale spiegando di voler tutelare il lavoro degli artisti in carne e ossa. Altre piattaforme invece, come DeviantArt, stanno subendo pressioni dagli utenti affinché facciano lo stesso.

Nuove forme d’arte oppure nuovi limiti allo sviluppo dello stile?

Artisti, programmatori e utenti curiosi si cimentano nella produzione di arte digitale almeno dal 1962, quando l’ingegnere A. Michael Noll annunciò di aver generato, con il proprio computer IBM 7090, una serie di «disegni interessanti e nuovi». Con l’aumentare della varietà e della disponibilità dei programmi per la creazione di arte digitale, aumentò anche la perplessità di chi riteneva che potessero rendere tutto troppo facile o che potessero mettere a repentaglio le fonti di reddito di artisti “tradizionali”.

Siamo ancora agli stadi iniziali di queste intelligenze artificiali, tuttavia destano preoccupazioni.

Da un lato, la potenza di calcolo necessaria consuma molta, moltissima energia. Dall’altro, vengono messe in discussione la definizione di arte e di artista: c’è, infatti, chi teme che la disponibilità di questi strumenti possa limitare lo sviluppo di uno stile personale, soprattutto tra i più giovani; c’è chi coglie l’occasione per promuovere una nuova “democratizzazione” dell’arte e chi, invece, mette in dubbio che i risultati prodotti da questi strumenti possano essere davvero definiti come opere d’arte.

Rappresentativa è l’esperienza dello statunitense Jason M. Allen, vincitore di un concorso d’arte organizzato dallo Stato del Colorado con un’opera creata con l’intelligenza artificiale Midjourney, Alle numerose critiche ricevute, Allen ha sempre replicato sostenendo che è comunque necessaria molta creatività umana per trovare la frase giusta che conduca l’algoritmo a creare un’opera di valore, magari capace di vincere un premio.

I dubbi degli esperti

In opposizione alle intelligenze artificiali addestrate su immagini, si stanno diffondendo iniziative come Spawning.ai, il progetto che offre agli artisti gli strumenti per decidere se includere o meno i propri lavori nei database di questi software o scoprire se vi sono già. Non sempre, tuttavia, è possibile opporsi: se è vero che vi sono modi per impedire ai programmi di salvare contenuti del proprio sito personale, nulla si può fare se questi vengono caricati su piattaforme come Pinterest.

Le difficoltà emerse fanno sì che sia ormai questione di tempo prima che il tema diventi di rilevanza giuridica: tuttavia, non è chiaro cosa potrebbe deliberare un giudica innanzi a un caso simile, vista l’assenza di precedenti che potrebbero essere fatti valere in tribunale. Secondo David Colarusso, direttore del Legal Innovation & Technology Lab dell’Università del Suffolk, gli strumenti giuridici potrebbero non essere sufficienti perché solo in alcuni casi le opere violeranno davvero le leggi sul diritto d’autore. Secondo Valentina Tanni, storica dell’arte che si occupa del rapporto tra tecnologia e arte, queste nuove tecnologie «costituiscono una minaccia concreta per alcune categorie specifiche di lavoratori del settore creativo: più che gli artisti (…), pensiamo alle comunità di illustratori, concept artist, fumettisti e così via».

Una faccenda complessa, insomma, destinata a far discutere a lungo.

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