Di intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning si parla ormai da tempo, ma la diffusione di ChatGPT ha funzionato come una vera e propria cassa di risonanza e fatto sì che diventasse uno dei temi di maggiore e stretta attualità.
Tra le domande che ci si pone in queste settimane, alcune riguardano la conoscenza e la percezione che si hanno proprio sull’utilizzo degli applicativi di intelligenza artificiale e sulle conseguenze per il mondo del lavoro. Per rispondervi, YouTrend ha condotto per conto di Fondazione Pensiero Solido un sondaggio su base nazionale su un campione di oltre 800 individui adulti, i cui risultati saranno utilissimi per gli addetti ai lavori e non.
I dati del sondaggio
Il primo dato che balza allo sguardo è il seguente: ben il 54% dei rispondenti al sondaggio confessa di essere impreparato in materia di intelligenza artificiale e il 59% (che sale al 65% per gli over 55) ritiene che le leggi dello Stato dovrebbero intervenire sulla sua applicazione, regolamentandone lo sviluppo e l’utilizzo e, ove necessario, vietandone l’uso.
Antonio Palmieri, fondatore e Presidente di Fondazione Pensiero Solido, ha precisato che la ricerca mette in evidenza una tendenza sinora forse sottovalutata: da una parte gli italiani desiderano capire meglio cosa sia questa “nuova” tecnologia; dall’altra esprimono una sincera preoccupazione per gli effetti che essa potrebbe generare e richiedono perciò un intervento normativo.
Prendiamo come esempio la percezione che si ha dell’intelligenza artificiale nei confronti del mondo del lavoro: il 51% degli intervistati teme che il suo utilizzo porterà a un calo complessivo dei posti di lavoro, mentre il 10% ritiene che potrebbe aumentare le possibilità di impiego. Per un italiano su 4 (circa il 26%) le capacità di applicativi di intelligenza artificiale come ChatGPT impatteranno sulle mansioni, modificandole.
Il sondaggio prosegue evidenziando interessanti stati d’animo: il 55% di chi ha oggi un’occupazione non sarebbe disposto a ricevere istruzioni da un chat bot e a essere più restii sono i residenti al Sud (62%) e le donne (64%). Di parere opposto è, invece, il 37% del campione. Gli strumenti di controllo delle attività lavorative e di valutazione automatica sono visti come un vantaggio da un italiano su due, con percentuali che aumentano tra i laureati e i giovani tra i 18 e i 34 anni, ma sono visti come uno svantaggio dal 30% degli intervistati perché si ritengono incapaci di giudicare il lavoro di una persona.
Solo una minoranza degli occupati si sente minacciata (21%) dai possibili cambiamenti di questa tecnologia; la maggioranza (50%) non si sente toccata oppure si sente aiutata (23%).
Per quanto riguarda, invece, i lavori percepiti come a rischio di essere sostituibili da un applicativo di intelligenza artificiale, troviamo in cima alla lista gli impiegati di ufficio (56%), seguiti da operai (51%) e commessi (43%) e mansioni che non richiedono titoli di studio elevati. A preoccuparsi meno, secondo i risultati del sondaggio, dovrebbero essere i medici (27%), gli imprenditori (26%) e gli artisti (24%).
Questi numeri evidenziano come sia ormai necessaria una consapevolezza diffusa, che chiarisca le criticità e le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale. Serve, insomma, una responsabilità sociale aumentata, anche da parte di programmatori e imprese.