Cosa c’è di più intrigante dell’intelligenza artificiale? L’umanità viene sedotta da secoli dal fascino delle macchine pensanti, dal mito di Pigmalione fino a Frankenstein, Iron Man oppure Hal 9000, il computer di 2001: Odissea nello spazio. Le macchine pensanti non sono più frutto dell’estro e della fantasia autoriale, sono realtà: pensiamo per esempio ai software intelligenti che lavorano sui dati per proporre interventi socio-economici volti al superamento dell’emergenza sanitaria.
Più che di una vera e propria intelligenza, tuttavia, parliamo di strumenti volti a supportare i nostri processi decisionali e le nostre azioni quotidiane. Un esempio viene da algoritmi volti a dare consigli di ascolto o visione come quelli utilizzati da Spotify e Netflix. Quella dell’intelligenza artificiale è, in effetti, solo l’ultima delle grandi sfide lanciate dall’uomo dopo quella della conquista dello spazio ed è abbastanza recente: basti pensare al fatto che di intelligenza artificiale si parla “solo” dalla Conferenza di Dartmouth del 1956. Del resto, la vera accelerazione nel settore si riscontra solo negli ultimi anni grazie ai balzi in avanti del settore tecnologico, delle reti di dati e della potenza di calcolo necessari alla creazione di software realmente utili. Come sottolineava il matematico e astrofisico Stephen Hawking, “il successo nella creazione dell’AI sarebbe il più grande evento nella storia umana. Sfortunatamente, potrebbe anche essere l’ultimo, a meno che non impariamo come evitare i rischi”.
Intelligenza artificiale? Sì, ma per tutti
Se i romanzi di fantascienza sono ancora oggi apprezzati dal grande pubblico perché intriganti e capaci di dar vita a vicende fantastiche apparentemente o parzialmente fondate su elementi scientifici, la realtà è decisamente meno romanzesca e caratterizzata dalla corsa alla creazione di software sempre più intelligenti. Pensiamo per esempio a Google Assistant, Alexa e Siri: fanno parte della nostra quotidianità, ma non sono nemmeno lontanamente paragonabili all’irresistibile e tecnologica protagonista del film Lei. Questi programmi, infatti, si limitano a imitare aspetti umani per apparire più intelligenti, ma nei fatti forniscono servizi semplici e basici. La caratteristica che si rivela vincente è l’utilizzo del nostro stesso linguaggio su base emulativa grazie al cosiddetto speech recognition. Nel campo dell’informatica ritroviamo inoltre il natural language processing, cioè lo scrivere e il leggere; la computer vision, cioè i software che si occupano di vedere e comprendere; la pattern recognition è, infine, la capacità di riconoscere schemi ricorrenti cioè categorie applicabili all’apprensione di concetti nuovi che portano al machine learning. I computer sono quindi in grado di imparare? La risposta non è semplice, ma possiamo sicuramente parlare di comprensione di concetti complessi grazie all’impiego di reti neurali strutturate a imitazione del cervello.
Il cammino dell’intelligenza artificiale è ancora lungo, ma possiamo stare certi del fatto che essa toccherà ogni ambito attraverso la capacità di analizzare i dati e “prevedere” il futuro grazie alla statistica. Se ora i supercomputer sono in grado di riprodurre ed esprimere circa il 10% della capacità elaborativa del nostro cervello, tra il 2045 e la fine del secolo il loro sviluppo potrebbe andare oltre quello umano ed essere accessibile a tutti. Non dobbiamo però avere paura dell’IA e del suo sviluppo, anzi semmai la sua avanzata ci impone di ripensare la nostra umanità e diventare persone migliori.