Febbre da unicorno, il timore della bolla delle startup

Feb 22, 2022 | Startup

C’è una nuova “patologia” finanziaria, la cui diffusione è stata accelerata proprio dall’emergenza sanitaria, che sta investendo gli investimenti tecnologici: è la cosiddetta febbre da unicorno e riguarda le startup. Per Wall Street e Main Street si tratta di un fenomeno virtuoso perché, soprattutto alla luce della ricerca di una agognata normalità post-pandemica, porta a incanalare ingenti risorse a favore di visioni e progetti innovativi messi proprio in campo dalle startup, ma secondo gli storici della finanza potremmo trovarci di fronte a una nuova bolla.

Partiamo con ordine.

Esistono nel mondo quasi mille startup soprannominate unicorni poiché il loro valore supera il miliardo di dollari. Per comprendere la portata del fenomeno vi basti pensare che nel 2015 di unicorni ne esistevano “solo” 80 ed erano considerati già tanti. L’espansione degli ultimi anni non riguarda solo il numero delle startup, ma anche il cambiamento del mercato: non sono più la startup ad andare alla ricerca degli investitori, bensì sono questi ultimi ad andare a caccia di visioni e idee da finanziare. Il fenomeno ha preso il via negli Stati Uniti, ma coinvolge oggi tutto il pianeta: secondo CBInsight, gli unicorni del momento sono 977, per un valore complessivo di 3.198 miliardi di dollari. Purtroppo, non vi sono realtà italiane in classifica.

Durante la fase pandemica, persone e imprese si sono affidate sempre più alla tecnologia, influenzando così anche le direzioni in cui si muovono il mercato azionario e la frenesia dei finanziamenti. “Carpe diem”, avrebbero detto i latini: gli investitori e i fondatori hanno così indirizzato la loro attenzione verso la tecnologia di consumo di massa, i veicoli elettrici e l’intelligenza artificiale, contribuendo a creare un ecosistema in vertiginosa e continua espansione.

Il fenomeno si sviluppa in due direzioni.

La prima è la cosiddetta great resignation, cioè il licenziamento di massa per perseguire il sogno da startupper. La seconda è la nascita di altri grandi distretti high tech, come quello sorto nella South Belt tra l’Arizona e la Florida. I numeri sono impressionanti: sono nel 2021, negli Usa, le startup hanno raccolto 330 miliardi, quasi il doppio del 167 miliardi del 2020; sempre nel 2021, il numero delle startup tecnologiche che hanno superato il miliardo di valore è maggiore rispetto ai 5 anni precedenti messi insieme. Dall’inizio del 2022, inoltre, già tre startup hanno raggiunto valutazioni sorprendenti: si tratta di Miro (società di lavagne digitali), Opensea (startup di compravendita di token, nota come Nft) e Checkout.com (società di pagamenti).

Questo eden potrebbe trasformare il boom in una bolla, come accadde nel 2000 oppure nel 2007. Già alcuni dati sarebbero da leggere con attenzione, come l’incertezza della variante Omicron che ha sgonfiato il valore delle startup tecnologiche, oppure l’aumento dei tassi di interesse. L’elemento di rischio maggiore, tuttavia, rimane la mentalità post-pandemica per cui ogni novità è la nuova normalità: una distorsione, questa, che potrebbe colpire duramente gli unicorni tecnologici.

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